Come sopravvivere e produrre in epoca digitale.
Buona la prima. Questo mi viene da dire subito dopo aver seguito con attenzione il primo intervento della seconda stagione de i14-Soft Skill Labs.
D’altronde, quando il coach è un “mastino della formazione” come Marco Rotella, con oltre 30.000 ore di lavoro in ambito formativo alle spalle, non può che essere così.
L’invito di Marco è stato da subito quello di “mettersi in gioco”. I partecipanti sono stati infatti chiamati a rispondere a un paio di domande rompighiaccio: “Cos’è per me la digital transformation?”, “Come impatta sulla mia vita?”. Il condividere le interessanti risposte di ciascuno ha dato il là all’esposizione: siamo davanti a una vera e propria trasformazione epocale, di cui ancora non siamo del tutto consapevoli.
E questa trasformazione ha i suoi pro e i suoi contro. Perché lo strumento è sempre neutro. Dipende dall’uso che ne facciamo.
Innanzi tutto sottovalutiamo l’impatto che la digital transformation ha sul nostro livello di stress.
Lo stress, definito come “la discrepanza tra le richieste che ci arrivano e la nostra capacità di rispondere alle stesse”, è stato affrontato attraverso un vero e proprio viaggio attraverso le neuroscienze. Siamo entrati nei meccanismi che regolano il funzionamento del nostro cervello: dalla risposta agli stimoli dell’amigdala, all’intervento del nostro “io pensante” attraverso l’uso della corteccia celebrale. Sono le sensazioni di paura, rabbia e dolore a creare un micidiale “cocktail” che produce cortisolo, il cosiddetto ormone dello stress. Le nostre reazioni spropositate nascono proprio dall’accumulo di questo cortisolo: parliamo dei “sequestri emozionali”, per dirla alla Goleman, quei momenti in cui siamo travolti dalle emozioni e non rispondiamo più con la nostra parte razionale. Ci “parte l’embolo” per dirla con un linguaggio più familiare.
Ecco che lo stress, se non vissuto come sfidante e stimolante, diventa stressante: lo fa quando ci porta a rimuginare, quando non ci fa dormire, quando ci rende incapaci di valutare la situazione, fino a bloccarci nell’immobilità.
Anche il tenere le cose a mente è fonte di stress: provoca paura di dimenticare. Ecco perché per evitare il sovraccarico cognitivo, è sempre bene svuotarsi la memoria cominciando a segnarsi le cose, prendere appunti, memorizzare su dei supporti, cartacei o digitali: una mente sgombra è più produttiva. Come diceva Herbert Simon “la ricchezza di informazione genera una povertà di attenzione”.
Ma fortunatamente l’effetto digital su di noi è depotenziabile, attuando strategie di digital detox, migliorando il nostro work-life balance, e imparando a cogliere e sfruttare gli aspetti positivi della tecnologia.
Quelli che facilitano la nostra operatività, migliorano le nostre performance e generano valore. Come le grandi opportunità offerte dallo smart working e tutti gli strumenti che possono agevolare la nostra vita digitale. Certo noi opponiamo resistenza al cambiamento, usiamo i software e le app in media solamente al 10% delle proprie potenzialità. Il futuro ci potrà dare la possibilità di utilizzare e governare magari soltanto pochi tools, ma al pieno delle proprie potenzialità, al fine di organizzare al meglio il nostro lavoro, gestire in maniera adeguata il nostro tempo e migliorare le nostre relazioni che, non dimentichiamolo, sono fonte di ossitocina, vero e proprio antidoto allo stress.

E dopo queste e altre riflessioni, si torna a interrogare i partecipanti: “Cosa posso fare io?”; “Cosa posso fare per migliorare la mia attività professionale?”
Molto stimolante la condivisione che ne è emersa. Perché a i14 la verità non è preconfezionata ma viene fuori dalle conversazioni significative che si generano tra i partecipanti e i docenti stessi. È così che secondo noi l’apprendimento diventa davvero utile e consapevole.
Davide Dabbicco