Il nostro proposito di vita

Ritrovare lo scopo smarrito e la strada della propria vocazione.

“La mancanza di senso crea la noia, la pienezza di senso crea la gioia”. Mi piace questa frase a rima baciata che racchiude l’importanza dell’avere uno scopo, anzi, un “proposito” (purpose, in inglese) a guidare le nostre azioni sia da un punto di vista personale che organizzativo, rendendole più efficaci, più nobili, più significative e pervase da uno spirito positivo e gioioso, in quanto accompagnate da un “perché” più elevato.

Nel laboratorio dal titolo “Senza un perché”, guidato da Marina di Bitetto, Chief Happiness Officer e Formatrice in Scienza del sé, abbiamo concretamente intrapreso una strada di scoperta del nostro personale proposito di vita. E lo abbiamo fatto attraverso il fare, con cui abbiamo espresso il nostro vero essere.

Dopo una prima analisi di scenario che mostrava gli allarmanti dati relativi all’infelicità nel mondo, tra ansia, depressione e suicidi, Marina ci ha posto una domanda profonda, cui ci siamo aggrappati come a un ancora di salvezza:

Possiamo vivere una vita piena, ricca di significato e felice esprimendo tutti i colori e le sfumature del nostro essere?

Ci abbiamo provato, per lo meno abbiamo cominciato a farlo, attraverso un percorso di introspezione e condivisione dei nostri valori, dei nostri talenti, fino al nostro più alto proposito di vita che, a turno, abbiamo dichiarato uno alla volta davanti a tutti. Un patchwork sul muro dei lavori individuali ha aggiunto colore, calore e unità tra i presenti. Non male tra persone che non si conoscono o si conoscono appena e bell’esempio di come, partire anche in azienda da conversazioni significative, possa essere il primo passo per stabilire relazioni più solide e vere che a loro volta ci trascinano verso risultati eccellenti.

Perché il portare alla luce il nostro proposito individuale, questa nostra impronta ed eredità che vogliamo lasciare al mondo e alle generazioni future, si riflette anche nelle nostre organizzazioni, intese non come mere macchine che devono funzionare con ingranaggi perfetti nella spasmodica e affannosa ricerca di un risultato economico, ma come “organismi viventi”, ovvero fatte di persone autentiche, che non rinunciano a mostrare il proprio vero sé, i propri valori, i propri talenti e, appunto, i propri personali propositi di vita. Per raccogliere l’invito di Wayne Deyer a “non morire con la propria musica ancora dentro di sé”.

Davide Dabbicco