Vivere l’impresa come una comunità

Può l’attenzione al benessere organizzativo e a principi quali la gratuità e la reciprocità essere alla base della produttività delle nostre aziende?

Tema delicato quanto stimolante quello affrontato dalla nostra Emanuela Megli, imprenditrice, formatrice e scrittrice, che apre l’incontro con una vera e propria esperienza comunitaria: partendo dal ricordare una propria situazione passata, i presenti hanno avuto modo di esprimere liberamente il proprio senso di comunità in aula, facendo “come se” stessero rivivendo quelle sensazioni e circostanze, per poi tradurle in azioni concrete.

E tutti si sono attivati, chi offrendo di posto in posto i cornetti del buffet, chi un bel bicchiere di acqua fresca nella calura estiva, chi ha cominciato a interagire in dialoghi significativi con i propri vicini di banco e chi si è prodigato nel richiedere di cosa avessero bisogno gli altri. L’aver messo in campo queste piccole azioni, ha contribuito a farci entrare nel vivo del tema e a rendere armonioso il contesto: esempio lampante di come un piccolo gesto di attenzione e gentilezza personale possa influenzare il proprio contesto lavorativo, muovendolo in una direzione comunitaria.

Da questa prospettiva, lo scopo di un imprenditore attraverso la sua impresa non è solo scambiare prodotti e servizi ma generare valore attraverso la capacità di creare legami virtuosi.

Emanuela ci ricorda che il legame tra le persone non va inteso come un vincolo imposto, non è una catena ma una corda, che scelgo spontaneamente di afferrare per il benessere della collettività. E da qui nasce un nuovo modo di vedere l’economia: laddove siamo stretti da legami morbidi e profondi, nella forza della relazione possiamo raggiungere un successo moltiplicativo.

E possiamo farlo attraverso l’attenzione ai bisogni dell’altro, attraverso un atteggiamento di gratuità che suscita un desiderio di ricambiare questa forma d’amore e con meccanismi virtuosi di reciprocità dove “si dona senza perdere e si prende senza togliere” per dirla alla Stefano Zamagni. Non siamo più nell’ambito del semplice scambio di valore ma nella sfera della donazione, che instaura una reazione a catena positiva capace di influenzare contesti più ampi.

In questa idea c’è il germe della salute organizzativa e numerica delle nostre aziende.

Un altro elemento cardine per concepire le nostre imprese come delle comunità è la fiducia reciproca che ha la meglio sul controllo: per i più prevenuti e restii ad affidarsi agli altri, sappiate che Hemingway diceva che “il modo migliore per scoprire se ci si può fidare di qualcuno è dandogli fiducia”.

La vera sorpresa del giorno è stata il collegamento live con Livio Bertola, Presidente AIPEC, Associazione degli Imprenditori dell’Economia di Comunione, che dopo aver inquadrato la storia e il presente della sua prospera azienda di lavorazione metalli, ha donato tanta energia ai presenti raccontando come si vive nelle imprese associate il senso di comunità: l’azienda va ripensata come un bene comune e che questo è anche il modo per renderla profittevole. E da buon piemontese, segue la scia delle esperienze virtuose di Olivetti e Ferrero e ci ricorda che dobbiamo formare le persone a una cultura del dare e che l’imprenditore è felice se fa felice gli altri, perché l’imprenditore è uno che genera, la sua è una vocazione a creare e gestire una comunità. E in questa cultura lontana da quella capitalistica, ci illumina anche una frase attribuita a Madre Teresa di Calcutta: “Nella vita ho incontrato tanti poveri, alcuni talmente poveri da avere solo i soldi”.

La nostra Emanuela ha piacevolmente dialogato e sapientemente condotto e gestito questa ispirante intervista a distanza.

Dunque, fare impresa per il solo profitto è troppo poco. Il mercato non si poggia solo sullo scambio di beni e servizi ma anche sul principio di reciprocità e sullo sviluppo dei beni relazionali, gli stessi che sono alla base del “perché” dei nostri Soft Skill Labs.

L’incontro è proseguito tra cenni teorici ed esempi concreti sugli strumenti gestionali e sugli aspetti umani e motivazionali che contribuiscono alla creazione di una impresa come comunità, per poi esplorare le caratteristiche dei leader votati alla creazione delle “comunità aziendali”.

La sfida per tutti noi è dunque, ora, trasformare questi principi in azioni concrete, attraverso l’amore, la compassione, la generosità, l’amicizia e tutte quelle qualità spirituali che vanno messe al servizio del nostro fare impresa.

Elevare la dignità delle persone, creare spirito di appartenenza, soddisfare il bisogno di contribuire, far sentire e sentirsi parte della comunità: tutti elementi che trascendono i semplici, anche se necessari, aspetti materiali.

In questa interdipendenza fra profitto e benessere si crea un sistema comunitario che favorisce una dedizione volontaria da parte dei collaboratori che intravedono qualcosa in più oltre alla semplice attività lavorativa: un progetto di senso, di vita.

E poi, insieme a tutto questo, abbiamo anche imparato il significato di due termini difficilissimi ma molto significativi come “apoptosi” ed “eutrapelia”, che non vi svelo subito ma che vi invito a ricercare, in modo che anche questo articoletto possa a suo modo spingervi all’azione.

Davide Dabbicco